Giovedì, 30 Giugno 2011 01:28

Festival dei libri sulle mafie

Scritto da  Gerardo

Da Domenico Pizzuti, riceviamo un servizio a seguito della partecipazione ad alcune giornate del Festival dei libri sulle mafie, svoltosi a Lamezia Terme dal 22 al 26 giugno 2011.
Nel seguito sono raccolte alcune sue notazioni.



FESTIVAL DEI LIBRI SULLE MAFIE. UN BLOG
Domenico Pizzuti

Trame. Festival dei libri sulle mafie, svoltosi a Lamezia Terme 22-26 Giugno, per iniziativa di Tano Grasso, assessore della cultura di questo Comune calabrese, mi ha subito intrigato sia per l’originalità dell’iniziativa sulla produzione libraria sulle mafie che ha raccolto voci “plurali” su questo variegato fenomeno criminale, sia per alcuni studi e ricerche da me condotti a Napoli con il sociologo G. Di Gennaro sulle forme e metamorfosi della criminalità organizzata in Campania. E, sia per il contesto di un Comune calabrese, sciolto per infiltrazioni mafiose nel 1991 e 2001. Ho partecipato al Festival, anche per conoscere in qualche modo il contesto sociale e culturale dell’evento che intendeva porre all’attenzione il potere delle parole e della cultura nel contrasto alle mafie e per la crescita di una coscienza di legalità e responsabilità nella società.

Accompagnato in macchina per ospitalità all’Oasi di San Francesco, attraverso il centro storico sotto le luminarie predisposte per la festa di Sant’ Antonio di Padova e la mia vista si imbatte in una gigantografia del santo sotto la piazza a lui dedicata. Rilevo che il Santuario, animato dai Minori cappuccini è contornato per accoglienza dall’Oasi di San Francesco e da una casa di riposo per anziani del terzo ordine francescano. In serata, mi reco a Palazzo Nicotera dove nel cortile un pubblico scelto interessato ascolta Don Luigi Ciotti ed il giornalista Lirio Abbate sul tema cruciale “Informare in Calabria”, terra di mafie, per fare informazione in maniera corretta e responsabile. A destra del cortile noto la Biblioteca comunale ricca di circa 25.000 volumi ed a sinistra la Casa del Libro antico. La produzione libraria recente sulle mafie è allineata nei gazebo del Corso Numistrano, presieduto da giovani di associazioni e cooperative anti-mafie, specchio di un’ aggiornata documentazione, narrazione e ricerca sulle varie mafie a cui attraverso l’oggettivazione dello studio viene tolta ogni mitizzazione, rimozione, velo e copertura ad opera di giornalisti, esperti, studiosi, magistrati, uomini di chiesa.

A Palazzo Panariti, partecipo alla presentazione del volume di D. Chirico e A. Magro, “Dimenticati, Vittime della ‘ndrangheta” (Castelvecchi Editore) con la toccante testimonianza di Deborah Cartisano sulla vicenda familiare del rapimento del padre e del ritrovamento del corpo dopo anni per pentimento dell’assassino, ed a seguire all’illustrazione dei risultati della ricerca “I costi dell’illegalità. Camorra ed estorsione in Campania”, a cura di G. Di Gennaro e A. La Spina, promossa dalla Fondazione Chinnici. Due modi di approcciare il fenomeno, uno di carattere documentativo, narrativo, evocativo perché non si perda la memoria di fatti e misfatti della ‘ndrangheta, l’altro di carattere “scientifico” fondato su una metodologia di ricerca con risultati conoscitivi attendibili sulle attività ed organizzazione dei gruppi della criminalità organizzata nelle varie regioni meridionali ma non solo. Vale la pena ricordare che il serrato programma del Festival ha consentito nelle serate di quattro giorni nei cortili di Palazzi storici di presentare 53 volumi da parte di 130 discussants con affluenza di pubblico e la presenza di numerosi giovani volontari calabresi e non. Quasi assente la copertura dell’evento da parte della TV regionale
Riguardo al contesto locale, porto con me alcune impressioni che in un primo momento non si compongono perché riguardano sia aspetti di una modernità culturale come questo evento ad opera di minoranze illuminate e sia nel contempo di “tradizione culturale” e religiosa che persiste. Da una parte noto con soddisfazione che il Sindaco domenica 5 Giugno ha reso conto alla popolazione di un anno di attività amministrativa, e Tano Grasso di “Un anno di cultura a Lamezia Terme” nella brochure del Festival. Qua e là nel centro storico individuo creazioni di artisti moderni. Dall’altra, vedo disseminati nel Centro Storico poster di varie grandezze con l’effigie di Sant’Antonio di Padova, striscioni con la scritta “Viva Sant’Antonio”, celebrato con una tredicina, solennità ed ottava nella Basilica, e nella Chiesa di San Domenico mi colpisce l’interno stipato di immagini sacre. Forse si dimentica di queste due figure hanno fatto affidamento sul potere della parola nell’opera di evangelizzazione della società, cultura e religione del loro tempo. Recandomi a sera a Palazzo Panariti, dalla porte della Cattedrale risuonano canti sacri nella celebrazione in corso. Due luoghi di libri e parole, due schiere di fedeli che non si contaminano a prima vista. Riguardo a questo aspetto devozionale ma non esclusivo della religiosità, una volontaria dei gazebo del corso mi parla di “finta devozione”, ed un'altra fa riferimento alla “fascinazione” di demartiniana derivazione che non interessa propriamente o solamente la sfera del sacro. Riflettendo, mi sembra la comunità sia contaminata da una natura lussureggiante, magica e misteriosa nei suoi meandri, e sfogliando la guida dei monumenti della città enumero 20 chiese su 33 monumenti di arte e storia. Un immaginario religioso tradizionale che ha profonde radici nel passato, ma solleva il problema di una rielaborazione della fede cristiana per l’uomo del 21° secolo. Si tratta di modelli culturali non isolati che si tengono insieme, e non sempre eliminano ambiguità di valori e comportamenti sociali.

Rispetto alle ambivalenze di un contesto sociale appena percepito, gettano luce le parole di Tano Grasso nella brochure del Festival da lui ideato, quando in riferimento alle resistenze di una parte della comunità all’ intervento culturale del Comune sull’onda di spinte e movimenti della società civile, a partire dell’associazionismo anti-racket, precisa che “il punto è un altro, è riconoscere quelle relazioni economiche e sociali da un lato, quell’area di complicità e collusione da un’ altro lato, quella dimensione di consenso e condivisione di valori e modelli culturali da un altro lato ancora; e questo riconoscimento è indispensabile per contrastare efficacemente tutti questi livelli che rendono la ‘ndrangheta così forte e cosi radicata”


Domenico Pizzuti
Napoli, 29 giugno 2011
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